La legge n. 76/2016, che regola le unioni civili, tutela i conviventi di fatto che possono disciplinare con un contratto di convivenza (art. 1 comma 50 e ss) gli aspetti della vita comune stabilendo, ad esempio una residenza in comune o le modalità di contribuzione alla vita familiare.
A CHI SI RIVOLGE:
A tutte le coppie conviventi maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite stabilmente da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile, che risultino nel medesimo stato di famiglia come “famiglia anagrafica” (v. articoli 4 e 13, comma 1, lettera b, del d.p.r. n. 223/1989), capaci di intendere e volere.
Per giurisprudenza consolidata il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa ove il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica ed anche nel caso in cui il genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita. Stessa situazione nel caso in cui i figli universitari siano fuori corso e non abbiano saputo trarre profitto dall’opportunità di frequentare l’università.
La durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno di mantenimento e non sul riconoscimento dell 'assegno stesso, assolvendo quest'ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole
Nel corso degli ultimi anni sono stati riconosciuti ai conviventi di fatto alcuni dei diritti già previsti per i coniugi.
Ai sensi dell’art. 612 bis c.p. Commette il reato di stalking “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Del danno cagionato da animale risponde ai sensi dell’ art. 2052 cod. civ. il proprietario in quanto la responsabilità si fonda non su un comportamento o un’attività di costoro, ma su una relazione (di proprietà o di uso, fondante la custodia e la sorveglianza) intercorrente tra i predetti e l’animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (“salvo che provi il caso fortuito“) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all’animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.
La critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana di cui all’art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa in ultima analisi sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi e tale autorevolezza non può non risentire un pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli
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